Bertini: “Calciopoli? Mi hanno quasi rovinato la vita”

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Serie A (Getty Images)

SERIE A JUVENTUS CALCIOPOLI BERTINI / MILANO – L’arbitro Paolo Bertini, squalificato dalla giustizia sportiva nell’anno di Calciopoli, ma assolto da quella ordinaria, è intervenuto in diretta su Sportitalia nella trasmissione Monday Night. Ecco le sue parole: Cosa è successo a Calciopoli? La risposta non me la son data, ma ho fatto di tutto perchè risultasse quello che doveva risultare, il fatto che fossi completamente estraneo a questo tipo di meccanismo, sul  quale non voglio metter bocca, cioè non voglio dare una spiegazione passati 9 anni di quello che è stato Calciopoli, non spetta a me. Però io ho combattuto perchè il mio nome venisse escluso da questa giostra infernale, che mi ha coinvolto per 9 anni. Sono stato in silenzio, non ho mai parlato, ho sopportato  il processo in maniera silente, non ho mai espresso alcun tipo di giudizio. L’ho fatto nelle aule di tribunale, rinunciando anche alla prescrizione, altrimenti questi erano reati tutti prescritti, e ho voluto che la giustizia mi rendesse quello che per 9 anni mi aveva tolto, almeno dal punto di vista dell’aspetto morale, della pulizia e di quella che è la mia identità. Dopo essere stato accusato di far parte di un sistema mi è stata restituita dalla dignità? Questo è già molto, io ho assistito a tutte le 54 udienze di Napoli, perchè volevo metterci la faccia, e il passo ultimo della rinuncia alla prescrizione mi ha permesso di arrivare fino in fondo. Mi hanno distrutto la vita? Ci hanno provato, dal punto di vista professionale sicuramente sì, perchè l’attività arbitrale è stata interrotta, tra l’altro in maniera abbastanza immotivata. Io vi ricordo, tornando in dietro al 2006/ 2007, ero l’arbitro di Juventus-Milan, quella famosa e maledetta partita in cui sono stato in primo grado condannato e che m’ha visto alle cronache. Io  ho passato giorni interi con le troupe televisive appostate sotto casa che riprendevano la moglie, i figli e quant’altro. Voi immaginatevi riportato in una piccola città come Arezzo cosa sia stato da un punto di vista umano. Il motore di questa cosa, oltre alla consapevolezza di quello che avevo fatto, è stata ovviamente la mia famiglia che mi ha sostenuto e mi ha dato la forza per arriavre in fondo a questo interminabile processo”.

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