Triplo ruolo di Agnelli tradisce sia Eca che Uefa. La Super League è il vero perché del no ai fondi per cui si è battuto in Serie A.
«I dodici fondatori della Super Lega hanno una fanbase che supera il miliardo di persone in tutto il mondo: in questo momento critico ci siamo riuniti per mettere il gioco che amiamo su un percorso di sviluppo sostenibile a lungo termine con un meccanismo di solidarietà fortemente aumentato». Sono parole di Andrea Agnelli, presidente della Juventus e nuovo vice presidente della Super Lega. Ieri il progetto e i suoi rappresentanti sono usciti allo scoperto. Ma in passato c’era stato ben altro. Era il 19 novembre scorso quando la Serie A votava, con favore unanime, l’ingresso dei private equity in Lega: Cvc, Advent e Fsi, interessati alla partnership, avrebbero garantito ai club un miliardo e settecento milioni di euro. Una ricchezza inaspettata e utilissima ai conti di tutte le società: compresi quella della Juventus, gravati dal post pandemia. Dalle trattative nell’interesse generale della Lega (anche come membro della commissione interna che negozia con i fondi), il numero uno Juve si è staccato poco dopo: fino ad arrivare a una posizione dichiaratamente ostile ai fondi.
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Agnelli e la sfiducia dell’Eca
La Super Lega contrasta con il tentativo di restituire valore al campionato italiano e ancora di più è in opposizione al progetto della nuova Champions. Questa, a partire dal 2024 si propone di allargare la competizione a 36 squadre, «un modello ideale» aveva detto Agnelli soltanto a marzo scorso. Lo aveva detto in apertura dell’assemblea generale dell’ECA, di cui è presidente (da ieri dimissionario). L’associazione delle società del continente ha come scopo proteggere e promuovere il calcio dei club europei. Ed anche Ceferin, numero uno della Uefa, quello di Agnelli è stato un tradimento.